…in Single-Player
La trama di Far Cry 3 mette in scena una sceneggiatura all’apparenza scontata se si pensa alla location scelta, ovvero l’arcipelago delle Isole Rook, situato in un punto non meglio precisato fra l’Oceano Indiano e quello Pacifico, che solo andando avanti si scoprirà essere la residenza naturale di diverse antichità storiche, fra cui residuati bellici della Seconda Guerra Mondiale, misteriosi templi e perfino una tribù indigena di nome Rakyat. Il filmato di apertura mostra un gruppo di ragazzi alle prese con una vacanza da sballo in stile “Una Notte da Leoni”, guarda caso ambientata proprio in quel di Bangkok. Le allegre bevute e le battute finiscono molto presto, allorquando i nostri, dopo aver effettuato un lancio col paracadute, atterrano su un’isola paradisiaca che ben presto diventerà l’inferno in terra. La scena successiva mostra il nostro alter-ego, Jason Brody, legato dentro una gabbia di bambù insieme al fratello Grant, un ex militare, mentre ascoltano imbavagliati il discorsetto di “benvenuto” di quello che successivamente si scoprirà essere Vaas, praticamente il boss dei pirati nonché simbolo indiscusso (e dannatamente accattivante) del concetto di “follia” che permea il gioco. E’ già da queste prime battute che si può apprezzare l’utilizzo del motion-capture e di un doppiaggio italiano davvero ben realizzato, sebbene qualcuno preferirà sicuramente attivare i sottotitoli e godersi le voci originali che, come rivela lo stesso Michael Mando, sono state registrate contemporaneamente alla recitazione, garantendo così un’immedesimazione totale (per fare questo, vi basterà andare nel menu Opzioni). Gli altri personaggi che si incontreranno nel corso della storia non sono da meno: Dennis, che ben presto diventa la nostra guida per la sopravvivenza sull’isola, il “flashato” dottor Earnhardt, esperto di allucinogeni che tuttavia rivela un passato commovente e Citra, sorella di Vaas e sensuale capo-tribù dei Rakyat che diventa invece la guida spirituale di Jason aiutandolo a tirare fuori il guerriero che è in lui.
Quest’ultimo punto è cruciale per due motivi: ci fa scoprire che Jason è una specie di eletto, il prescelto destinato, a sua insaputa, a divenire un guerriero Rakyat pronto a sconfiggere l’anarchia dei pirati (ci sono anche le cosiddette “Prove Rakyat” in tal senso), e soprattutto ci introduce al concetto dei tatuaggi tribali sul braccio sinistro del protagonista, che rappresentano proprio le abilità da guerriero sbloccabili durante l’avventura, divise come dicevamo in precedenza in tre “specializzazioni”: Ragno, Squalo e Airone. Dunque la libertà d’azione che caratterizza tutto il gioco, comprese molte delle missioni principali, si manifesta in primo luogo con la possibilità di scegliere se sviluppare il personaggio in un senso piuttosto che in un altro. Chi vuole plasmare l’indifeso e impacciato Jason in un terminator duro a morire, sceglierà le abilità dello Squalo, chi vuole fare di lui un hitman infallibile e silenzioso sceglierà le abilità del Ragno e chi vuole avere tra le mani un cecchino a sangue freddo sceglierà le abilità dell’Airone. Ma non vi preoccupate; lo scegliere le abilità del Ragno, per esempio, non vi preclude affatto la possibilità di scegliere anche quelle dello Squalo e dell’Airone o viceversa, quindi anche da questo punto di vista all’utente è lasciato un ampissimo margine di scelta. La libertà d’azione però vi può anche mettere in seria difficoltà all’inizio, perché senza le citate abilità Jason è fin troppo esposto ai diversi pericoli dell’isola, fra pirati armati fino ai denti e animali selvaggi che, se avvicinati troppo, attaccano immediatamente. L’equipaggiamento di cui si può dotare il nostro eroe comprende diversi tipi di armi da fuoco (molte delle quali personalzzabili), un arco (dotabile sia di frecce normali che esplosive), granate, molotov, esplosivi C4 nonché il buon vecchio lanciafiamme e, soprattutto, il machete; quest’ultimo fa il suo ritorno in questo nuovo capitolo ma stavolta il suo valore è cruciale poiché, insieme alle armi con silenziatore, è l’unico strumento per cogliere di soppiatto i nemici senza far scattare allarmi. Nei 34 avamposti sparsi per la mappa – ognuno strutturato in modo diverso sia per posizione (li possiamo trovare sulla costa, nella prateria e nella giungla) sia per tipologie di avversari (ci possono essere normali fucilieri dotati di granate, bestioni corazzati dotati di lanciafiamme, cecchini e piromani che ci scagliano addosso molotov a profusione, nonché rabbiosi cani da guardia) – gli allarmi sono una delle prime cose di cui ci si deve occupare, perché disattivandoli prima di scatenare il panico evitiamo che i nemici possano chiamare i rinforzi. Gli avamposti, una volta “ripuliti”, diventano territorio alleato e sbloccano delle “cuccette” simili a quelle di Far Cry 2; anche qui questi piccoli rifugi fungono da punto di salvataggio, punto di raccolta di armi, medicinali ed equipaggiamenti sbloccati fino a quel momento, ma soprattutto costituiscono punti di viaggio rapido coi quali dovremo necessariamente interfacciarci per buona parte dell’avventura (per farlo basta aprire la mappa e fare doppio clic sull’icona del punto rapido che si vuole raggiungere). Quello delle Isole Rook infatti è un vero e proprio arcipelago, diviso a sua volta in due grandi isole, rispettivamente una settentrionale e una meridionale. I conti sono presto fatti: si tratta di un mondo di gioco parecchio vasto, esplorabile centimetro per centimetro visto che ci si può muovere a piedi, su quattro ruote, in aria (col deltaplano ma anche facendo skydiving) e in acqua. L’Isola Nord è quella dove c’è ancora civiltà, ed è la patria degli abitanti del villaggio di Amanaki e della tribù dei Rakyat; l’Isola Sud è invece interamente assoggettata al potere dello spietato mercenario e schiavista Hoyt, braccio destro di Vaas che possiede un intero esercito privato a sua disposizione. A proposito di esplorazione, Far Cry 3 è legato a doppio filo alla saga di Assassin’s Creed, per almeno due motivi: le 18 torri radio disseminate su tutto il territorio, che vanno scalate come i punti di vantaggio dello stesso Assassin’s Creed per mostrare poi sulla mini-mappa tutti i segreti di una determinata zona (tesori e punti di interesse ma anche e soprattutto armi gratuite presso i negozianti), e poi i celebri “salti della fede”, che però non si possono effettuare dalle torri radio stesse bensì ad esempio dalle varie cascate nascoste sull’isola, risultando sicuramente affascinanti ma anche inevitabilmente “riciclati”. E visto che parliamo di numeri, si contano un totale di 38 missioni per la sola storia principale, senza calcolare dunque che, una volta portato a termine, il gioco offre delle buone opportunità di ulteriore esplorazione e svariate missioni secondarie, dalla caccia di pericolosi predatori fino a delle prove di “pony express” dove, in un tempo limite, si deve guidare da un punto A ad un punto B per effettuare consegne speciali, più le Prove Rakyat ed alcuni mini-giochi come partite a poker, lancio dei coltelli e bevute a suon di “shottini”. Purtroppo spesso il tutto si riduce ad un mero passatempo fine a se stesso, non riuscendo di certo a suscitare quelle emozioni che invece regala senza sosta la trama. Perciò il nostro spassionato consiglio è quello di cercare di gestire la vostra personale avventura nelle Isole Rook con dei compromessi (un po’ per esorcizzare anche il fantasma di Far Cry 2) cercando di alternare magari missioni principali ed esplorazione libera in puro stile free-roaming, perché purtroppo Far Cry 3 non è un open-world a la GTA (dove “free-roaming” diventa mettere letteralmente a soqquadro una città) ma anzi tende ad assomigliare a Far Cry 2 laddove il paesaggio dopo un po’ dà un inevitabile senso di déjà-vu, salvato in parte dalla beltà grafica del Dunia Engine 2, vera colonna portante di questo FPS. Un possibile rimedio alla monotonia tipica del genere videoludico in questione è alzare il livello di difficoltà, che in Far Cry 3 significa alzare notevolmente il livello di sfida soprattutto negli scontri a fuoco. Se infatti a livello “Avventura” e a livello “Sopravvissuto” si sopravvive senza troppa fatica, specie se consideriamo tutte le abilità extra di Jason, a difficoltà “Guerriero” comincia a diventare veramente una questione di sopravvivenza e ancor più di tattica, visto anche che la componente stealth non è messa lì a caso ma in funzione proprio di un approccio più ragionato e strategico alle varie situazioni. E non parliamo solo degli incontri coi pirati, ma anche di quelli (frequenti) coi vari predatori delle Isole Rook. Vi citiamo un episodio che porta all’attenzione anche l’effettivo meccanismo di dinamicità degli eventi che caratterizza Far Cry 3: eravamo nelle prime fasi dell’avventura, in fase di semplice esplorazione dell’ambiente, quando ad un certo punto udiamo degli spari nelle vicinanze; dopo un po’ riusciamo a scovare la zona dalla quale sono partiti i colpi e notiamo due o tre pirati ormai morti e diversi draghi di Komodo vicino ai loro corpi. Infastiditi dalla nostra presenza, i rettili cominciano ad attaccarci, perciò a suon di kalashnikov e machete li abbattiamo. Una manciata di istanti, giusto il tempo di scuoiare i lucertoloni, e ce ne ritroviamo addosso quasi il doppio che, attirati dal frastuono, ci feriscono mortalmente. Ora, sebbene in questi casi il gioco eviti di essere troppo crudo (quando Jason infilza il machete nel cadavere di un animale non si vede mai concretamente l’atto in sé bensì una semplice animazione di lui che prende un “pezzo” insanguinato dell’animale stesso e lo ripone nello zaino), ci sono alcuni piccoli elementi che rendono l’atmosfera più adrenalinica e coinvolgente: ad esempio lo stesso protagonista che spesso (almeno nelle fasi iniziali dell’avventura) esclama disgustato quando si trova costretto ad estrarre “a crudo” parti di animale, oppure l’effetto “graffio” sulla telecamera quando si viene attaccati da un predatore. Se è vero infatti che questo gioco ha diversi pregi, uno su tutti è quello di saper trasmettere a chi lo gioca un profondo senso di immersione, dato da diversi fattori: la grafica maestosa innanzitutto, forte di un sistema di illuminazione da primato e di effetti speciali suggestivi (vedi quelli legati alle allucinazioni, oppure l’effetto sfocato appena si riemerge dopo un’immersione sott’acqua), poi le sessioni di shooting ed infine il nuovo set di animazioni, che esalta semplici azioni come camminare, correre, cadere, scivolare, tuffarsi, nuotare, paracadutarsi e, soprattutto, impalare nemici ignari, sia di spalle, sia frontalmente, sia dall’alto, potendo effettuare anche spettacolari uccisioni in successione (fino a un massimo di due nemici e con l’apposita abilità da acquistare coi punti esperienza). In particolare meritano menzione gli scontri a fuoco, caratterizzati da esplosioni molto ben realizzate e da un soddisfacente feedback restituito dalle armi in fase di sparo, un po’ meno in fase di ricarica (particolarmente lenta con le armi pesanti quali mitragliatori e lanciafiamme). Il feeling in linea di massima è senz’altro piacevole e dà un senso di assoluta accessibilità, grazie alla quasi totale mancanza del rinculo in senso stretto, di cui si risente solo leggermente la presenza al contrario di quanto avviene in un Battlefield 3, tanto per citare un esempio calzante. Anche il sonoro riesce a trasmettere una buona dose di immersione, con le armi che restituiscono un output molto grezzo che però allo stesso tempo nasconde una certa “piattezza”, specie quando si usano per molto tempo sempre e solo fucili d’assalto automatici. Tutti gli altri elementi di gameplay sono comunque rimasti invariati dal capitolo precedente, per cui la salute è ancora divisa in piccoli rettangolini, ciascuno dei quali si rigenera automaticamente se non viene consumato del tutto, c’è ancora una forma di cura “rapida” tramite la pressione dell’apposito tasto che solitamente fa partire una sequenza standard in cui si vede Jason bendarsi semplicemente il braccio, mentre altre volte lo si può vedere riallocarsi un polso rotto oppure tirarsi fuori una pallottola con i denti, e non manca infine la possibilità di riparare i veicoli, ma a differenza di Far Cry 2 lo si può fare solo se si ha con sé l’apposito attrezzo (che andrebbe ad occupare uno dei quattro slot totali riservati alle armi). Insomma, che dire, Far Cry 3 è un gioco maledettamente e finalmente duro e crudo, cinico e adulto, libero e dinamico, divertente e serio, non esente tuttavia da difetti più o meno importanti tanto in single-player quanto in multiplayer. Ad esempio non si può ignorare un certo comportamento “idiota” dei personaggi non giocanti, soprattutto i pirati che possono letteralmente essere piegati al nostro volere a forza di tirare sassi a destra e a manca per distrarli, come se non ci fosse un domani (neanche si tirasse un bastone o un osso ad un cane). Abusare dell’I.A. nemica farà pure parte del piano di sopravvivenza di Jason, ma avremmo preferito a questo punto che questa nuova meccanica di gioco non fosse stata affatto implementata, visto appunto che può generare potenziali “glitch” dal momento che continuando a tirare sassi in una certa direzione si può portare una guardia di ronda ad ignorare totalmente i suoi compiti, cosa non molto credibile. Inoltre gli utenti che hanno avuto modo di giocare lunghe sessioni della campagna hanno notato una cosa che più che un “difetto” del motore grafico sembra una precisa (e tuttavia inspiegabile) volontà degli sviluppatori: stiamo parlando della quasi totale assenza di precipitazioni piovose, che se vogliamo era stato invece uno dei fattori più apprezzati di Far Cry 2; sembra infatti che, anche dopo che all’interno del mondo di gioco siano passate settimane, si riesca ad assistere ad uno, massimo due temporali, il che estremizza un po’ troppo il concetto di “condizioni atmosferiche variabili/dinamiche”. Per non parlare dei vari bug che, nonostante una corposa patch del day-one, hanno inizialmente penalizzato l’esperienza online della stragrande maggioranza degli utenti, noi compresi (analizzeremo la cosa nel prossimo paragrafo).